LE MISURE EMERGENZIALI DI CONTENIMENTO COVID-19 E LE RELATIVE RICADUTE SUI CONTRATTI DI LOCAZIONE AD USO ALBERGHIERO

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1. In questi difficili giorni sorge questione in ordine agli effetti della normativa emergenziale in materia di contenimento della pandemia da Coronavirus sui contratti di locazione di immobili con destinazione alberghiera.
Le recenti disposizioni non hanno vietato l’attività alberghiera (come è invece accaduto per molte altre attività commerciali), ma l’hanno indiscutibilmente e fortemente penalizzata. Le misure adottate a livello centrale e regionale hanno introdotto limitazioni della libertà personale e di circolazione, con l’imposizione di divieti di allontanamento dalle abitazioni, divieti di entrata ed uscita dalle aree comunali, limitazione e/o soppressione dei trasporti aerei, ferroviari e marittimi, sospensione dei viaggi organizzati, delle gite scolastiche e delle attività turistiche.
Gli esercizi alberghieri sono stati perciò immediatamente colpiti da valanghe di “cancellazioni” delle prenotazioni, con l’effetto di un pressochè totale azzeramento del giro di affari prodottosi già a fine febbraio 2020, destinato a propagarsi anche nell’intera primavera ed assai probabilmente nel primo scorcio dell’estate prossima.
Si tratta di capire se, a fronte di tale situazione, siano possibili ricadute sul contratto di locazione di immobili destinati ad uso alberghiero e sul relativo canone.

2. Va subito detto che l’art. 91 del D.L. 17 marzo 2020 n. 18, che modifica l’art. 3 D.L. 23 febbraio 2020 n. 6, così recita: “Il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli rticoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.
La norma consente al giudice di ritenere l’assenza di colpa nell’inadempimento delle obbligazioni quando esso sia dipeso dall’operatività di dette misure. Essa però si limita a costringere il locatore a subire il ritardo nell’inadempimento, ma non arriva a consentire al conduttore di pagare un canone ridotto durante il periodo di efficacia dei provvedimenti restrittivi imposti dall’emergenza sanitaria.

3. Dal punto di vista strettamente giuridico il locatore, nonostante la pandemia, esegue esattamente come prima la prestazione a suo carico, consistente nel consegnare al conduttore l’immobile, mantenerlo in buono stato locativo e garantirne il pacifico godimento.
Cambia invece sostanzialmente è la posizione del conduttore. Costui, fin quando saranno efficaci le restrizioni (almeno nella misura ora in atto), ha evidentemente scarso o nullo interesse a ricevere la prestazione, che per lui è sostanzialmente inutilizzabile perché l’attività alberghiera è di fatto ferma.
Recependo gli indirizzi di parte della dottrina, la giurisprudenza di recente ha ammesso che, nel caso in cui la prestazione dovuta, pur possibile, è sostanzialmente inutile per l’interesse del creditore, può estinguersi l’obbligo alla controprestazione. Così Cass. 24.7.2007 n. 16315; Cass. 29.3.2019 n.8766; Cass. 10.7.2018 n.18047; Cass. 2.10.2014 n. 20811; tra i giudici di merito, Tribunale Firenze sez. III, 22.5.2019 n.1581; si tratta per lo più di sentenze emesse nel caso di viaggi turistici in zone colpite da epidemie locali senza restrizioni alla circolazione, allorquando cioè la prestazione dovuta dall’operatore turistico era tecnicamente possibile, ma veniva meno, a causa dell’epidemia locale, l’interesse del turista al viaggio prenotato. La giurisprudenza ha quindi riconosciuto il diritto del viaggiatore al rimborso del corrispettivo della prenotazione effettuata, applicando estensivamente la norma dell’art. 1463 c.c in tema di impossibilità totale della prestazione.
In tale ottica, appare evidente che la contrazione o l’azzeramento degli affari conseguente alla vigenza delle misure di contenimento determina quantomeno la temporanea impossibilità di utilizzare la prestazione del locatore (pur essendo questi, come detto, adempiente agli obblighi su di lui gravanti), non avendo alcun senso che l’albergatore possa disporre dell’immobile al di fuori della finalità imprenditoriale contemplata dal contratto di locazione. Si tratta dunque di applicare, anche qui estensivamente, la norma dell’art. 1464 c.c., in tema di impossibilità temporanea della prestazione.
Sotto altro profilo, può ipotizzarsi anche l’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione posta a carico del conduttore dell’immobile adibito ad albergo, prevista dall’art. 1467 c.c. L’eccessiva onerosità prevista da questa norma come motivo di risoluzione del contratto è solo quella che comporta una notevole alterazione del rapporto originario tra le prestazioni, per effetto di avvenimenti straordinari ed imprevedibili, non rientrabili nella normale alea contrattuale. Se non v’è dubbio che l’andamento ondivago degli affari di un albergo possa costituire un’evenienza normalmente possibile, non appaiono ragionevolmente riconducibili a tale rischio gli effetti di una pandemia, correlati all’operatività dei provvedimenti per il relativo contenimento che, pur non incidendo direttamente sulla legale possibilità di esercitare l’attività alberghiera, ne impediscono nel concreto ogni remuneratività quanto meno in via temporanea. Va detto che, almeno allo stato attuale, non mitiga tale sproporzione la disposizione fiscale di vantaggio per il conduttore, contenuta nell’art. 65 D.L. 17 marzo 2020 n. 18 (credito di imposta pari al 60 per cento dei canoni versati), perché essa è riferita unicamente ai “negozi e botteghe” rientranti nella categoria catastale C/1, laddove notoriamente gli immobili adibiti ad albergo assumono la diversa categoria catastale D.
Nella considerazione di questi due rimedi, ovviamente, giocano un ruolo le variabili della concreta situazione di fatto che di volta in volta viene in rilievo. Conta la misura del canone, la durata delle misure restrittive e lo scaglionamento del loro allentamento nella cd. fase 2, la durata pregressa del rapporto e quella residua. E’ ben chiaro, ad esempio, che se il canone contrattuale è di modesta entità rispetto al volume di affari oppure se il periodo residuo della locazione è minimo, difficilmente potranno invocarsi le norme indicate. Al contrario, un valore del canone considerevole in relazione al volume di affari oppure una protrazione nel tempo delle misure che interdicono la mobilità (nazionale o internazionale a seconda della clientela dell’albergo) depongono senz’altro in favore del diritto dell’albergatore al ricorso ai due rimedi accennati.

4. Le due norme cui si è fatto riferimento sopra, è bene sottolinearlo, non vanno invocate per la risoluzione del contratto, perchè in tal caso il conduttore sarebbe esposto alla perdita dell’indennità di avviamento commerciale prevista dall’art. 34 L 392/1978. La risoluzione, infatti, estinguerebbe il rapporto e gli obblighi reciproci delle parti, e quindi travolgerebbe anche l’obbligo del locatore di pagamento dell’indennità di avviamento commerciale (C. Cost. 576/1987; Cass. 11092/1992).
E’ invece più utile utilizzare le norme nella prospettiva di una diminuzione del canone di locazione dovuto durante il periodo in cui sono efficaci le restrizioni alla mobilità imposte dall’emergenza sanitaria.
E’ importante chiarire che, in questa direzione, va adoperata particolare cautela. Infatti, la possibilità di accedere ad una congrua riduzione del canone di locazione non va intesa come facoltà del conduttore di procedere alla c.d. “autoriduzione del canone”, che secondo la giurisprudenza consolidata costituisce fatto arbitrario ed illegittimo del conduttore che dà luogo alla risoluzione per inadempimento.
Piuttosto, anche in considerazione degli obblighi di buona fede, l’albergatore ha l’onere di attivarsi chiedendo tempestivamente una rinegoziazione del canone di locazione, limitatamente al periodo in cui sono efficaci le restrizioni imposte dalla legge. Tale richiesta potrebbe avere, come presupposto, una comparazione tra il fatturato dei mesi correnti e quello dell’analogo periodo dell’anno o degli anni precedenti; su questa base, potrebbe chiedersi al locatore di ridurre il canone, limitatamente al periodo di restrizione, nella misura percentuale corrispondente alla contrazione del fatturato, o anche ad una misura di poco inferiore.
In caso di insuccesso della trattativa (da condursi in tempi ristretti), è fortemente consigliabile un atteggiamento attivo dell’albergatore, il cui interesse è senz’altro quello di veder consacrato in un provvedimento giudiziale oppure in una apposita transazione l’esatta misura del canone, ridotto, che egli deve versare. Perciò, conclusa senza esito la trattativa, si rende indispensabile promuovere un tentativo di media-conciliazione (trattandosi di materia soggetta obbligatoriamente alle previsioni di cui al D.lgs. 4 marzo 2010, n. 28). Se nemmeno la media-conciliazione dovesse sortire esito positivo, occorrerà proporre una causa avente ad oggetto il buon diritto dell’albergatore alla riduzione del canone, al fine di ottenere una sentenza che chiarisca tra le parti sia l’entità della riduzione congrua, sia il periodo nel quale essa deve operare.
Se il locatore fosse riottoso a qualunque rinegoziazione, il tempo necessario ad ottenere un provvedimento dell’autorità giudiziaria sarebbe necessariamente lungo. Si pone perciò il problema di quale atteggiamento deve tenere l’albergatore nelle more della causa o della transazione.
Per quanto detto sopra, la condotta più rassicurante sarebbe quella di pagare il canone previsto nel contratto, salvo poi chiedere, in giudizio, la restituzione di quanto pagato in eccesso rispetto al canone che l’autorità giudiziaria riterrà congruo.
E’ ben chiaro, però, che non sono molti gli albergatori che possono permettersi di pagare l’intero canone durante il periodo di contrazione degli affari, che non si prospetta breve.
Ora, la platea dei soggetti impossibilitati a pagare il canone corrente dovrà a maggior ragione attivarsi nei termini innanzi indicati, e dovrà provvedere quanto meno al pagamento nelle mani del locatore di una canone corrispondente all’importo per il quale si è richiesta la rinegoziazione. Solo tale condotta, unitamente alla pronta proposizione della media-conciliazione e successivamente della causa nonchè all’ausilio che oggi è offerto dall’art. 91, d.l.17 marzo 2020 n. 18, sopra richiamato, potrà mitigare i rischi di esposizione ad uno sfratto per morosità, e quindi alla perdita dell’immobile e dell’indennità per avviamento commerciale. Non si tratterebbe infatti di una mera autoriduzione del canone, bensì del pagamento di quanto è nelle possibilità del conduttore durante una crisi economica di larga scala, nell’attesa che l’azione giudiziaria, in via di sollecita proposizione, stabilisca i limiti di quanto dovuto.
Va chiarito che tale strategia consente di mitigare, ma non di escludere del tutto le conseguenze di una morosità. Infatti, vi è pur sempre il rischio che il locatore, sordo ad ogni problematica, agisca chiedendo lo sfratto per morosità, e che il giudice, ritenendo eccessivamente bassa la misura di quanto pagato nelle more, emetta ordinanza di rilascio con riserva delle eccezioni del conduttore.
Vi è però da considerare che chi non può permettersi il pagamento dell’intero canone contrattuale non ha altra scelta, se vuole provare a salvare il rapporto di locazione e con esso l’attività esercitata.

5. Al tirar delle somme, dal punto di vista operativo, un’efficace iniziativa da parte del conduttore dovrà necessariamente muovere da una richiesta di rinegoziazione del canone per il solo periodo delle restrizioni e proporzionalmente alla contrazione del giro di affari prodottasi nella vigenza delle misure di contenimento.
In caso di insuccesso, occorrerà proporre un tentativo di media-conciliazione nei confronti dei locatori.
In caso di infruttuosa media-conciliazione, occorrerà subito proporre il giudizio consequenziale.
Nelle more della definizione della causa, chi ha la possibilità di pagare il canone contrattuale potrà tenersi al riparo dalle conseguenze della morosità. Chi invece non ha le risorse economiche necessarie, dovrà quanto meno offrire il canone ridotto nella misura per la quale ha chiesto la rinegoziazione e coltivare l’azione giudiziaria.

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